Ci sono pochi musei al mondo in cui si respira l’aria del fondatore come all’interno della Collezione Peggy Guggenheim a Venezia. Non è possibile ammirare i quadri e gli arredi, grande regalo che la Signora ha fatto all’umanità, senza essere attratti dalla sua incredibile vita. Ed è stato un privilegio visitarlo con una figlia adolescente proprio per poterle raccontare qualche sprazzo della vita di una grande donna del ‘900.
Pur ricca di nascita, la giovane ereditiera non ha disdegnato lavoretti giovanili per avere una minima indipendenza di azione e di pensiero: a quest’ultima libertà teneva più della sua stessa vita. E’ proprio da una mente libera che possono nascere grandi avventure, così amo raccontare a mia figlia.
Un tempo mecenati, poi collezionisti certamente a loro si deve la nascita e sopravvivenza dell’arte. Ma ciò che rende unico il progetto di questa Donna che vorrei chiamare semplicemente Peggy è il voler aprire questo mondo a tutti, ingolosendo il pubblico internazionale di ogni età e ceto sociale verso lo straordinario pianeta dell’Arte. La sua vita, oggi raccontata dalle mura di
Palazzo Venier dei Leoni, ci fa riflettere sul concetto di destino.
Se non fosse morto il ricco padre Benjamin Guggenheim, Peggy non avrebbe ereditato da giovane l’allora somma di $450.000, necessari per acquistare “arte viva”; se non fosse finito il suo matrimonio con Laurence Veil non si sarebbe trasferita in Europa tra Londra e Parigi dove conobbe, nella propria galleria Guggenheim Jeune i maggiori artisti delle Avanguardie quali Kandinskij, Picasso, Boccioni, Dal, Mondrian, Duchamp, Ernst, che divenne poi suo marito. Se non fosse scoppiata la seconda Guerra mondiale non si sarebbe rifugiata, ebrea di nascita, in America dove scopri il maggiore esponente dell’Espressionismo astratto Jackson Pollock, che a lei deve gran pare del suo successo. Infine, quello strano e incompiuto Palazzo Venier dei Leoni: fu acquistato proprio perché incompleto, abbordabile nel prezzo e nella gestione dell’importante giardino galleria in cui potevano gironzolare i cagnolini e dove Peggy riposa in pace con i suoi amatissimi cuccioli.
Queste riflessioni, personalissime a dire il vero, sono nate proprio durante la visita di questa splendida galleria che ha lo spettacolare dono di rapire l’attenzione non solo di adulti esperti ma anche di giovanissimi, come mia figlia, ancora nostalgica di quella visita, sognata a lungo, troppo breve ahimè e certamente più eccitante della “droga social”. In un certo senso ho visto avverarsi ciò che la Direttrice della Collezione, Karole P.B. Vail, scrisse nel difficile periodo Covid che duramente provò la sopravvivenza del Guggenheim:
“Vivere”, assieme a tutto lo staff, “significa portare avanti la nostra missione: conservare e preservare l’eredità di Peggy Guggenheim educando al valore del processo artistico, quale strumento di crescita personale e di sviluppo del pensiero critico. Consideriamo l’arte un bene primario e in quanto tale riteniamo debba essere accessibile a tutti. Per te e per le generazioni future desideriamo quindi poter aprire il museo 6 giorni la settimana, continuare a garantire i progetti educativi, totalmente gratuiti, la programmazione delle mostre temporanee, la pubblicazione dei cataloghi. In altre parole, la vita del museo”.
Visionaria dunque e coraggiosa, altra dote fondamentale per le giovani donne: nel 1938 Peggy fu osteggiata a Londra per la Guggenheim Jeune dalla solida opposizione del direttore della Tate Gallery e molto criticata nella rinascimentale Firenze dagli intellettuali troppo tradizionalisti per l’allora esposizione alla Strozzina, 1949, causa di lesa fiorentinità.
“Il mio motto era comprare un quadro al giorno e l’ho seguito alla lettera”.
Grazie a Peggy Guggenheim, capolavori del cubismo, astrattismo e surrealismo, sono divenuti l’esposizione più completa del modernismo mai presentata fino ad allora in Italia.
Affacciati sulla laguna si è ipnotizzati dalla scroscio delle acque Veneziane.
«Si è sempre dato per scontato che Venezia è la città
ideale per una luna di miele, ma è un grave errore. Vivere a Venezia, o
semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta
più posto per altro» (in Anton Gill, Peggy Guggenheim, 2004).
Le acque che hanno spazzato via tragicamente il padre nella tragedia del Titanic, dalla quale Peggy ha maturato una comprensibile fobia per le navi, hanno in un certo senso salvato la vita di questa Veneziana ad honorem, dogaressa dell'arte moderna.
[...] amavo l’Europa più dell’America e quando la guerra finì sentii che dovevo tornare per forza. [...] In viaggio decisi che Venezia sarebbe stata la mia patria futura: l’avevo sempre amata più di ogni altro posto su questa terra e sentii che lì da sola sarei stata felice.
Peggy Guggenheim, Una vita per l’arte, Rizzoli, Milano 1982
Valentina Niccolai